Professor Vergani nel suo libro Non ho l’età, scritto con Giangiacomo Schiavi, si parla di diversi aspetti relativi all’invecchiamento. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno di massa.
Dall’inizio del secolo scorso abbiamo aggiunto 40 anni alla durata della vita: la vita media era di 43 anni, oggi è di 83 anni. Ci sono 20 mila centenari in Italia. Nel novembre 2016 Emma Morano, che vive a Verbania sul Lago Maggiore, ha compiuto 117 anni: è la persona più vecchia al mondo, la decana dell’umanità. Nel 2030 ci saranno sei milioni di anziani in più, un italiano su tre avrà più di 65 anni. Dobbiamo imparare a convivere con gli anziani e a interpretane il bisogno.
Vivremo sempre più a lungo?
Jeanne Calment, la persona che ha vissuto più a lungo, è morta nel 1997 a 122 anni. In un editoriale apparso recentemente su Nature, Jay Olshansky dell’Università di Chicago osserva che a partire dalla fine del Novecento non ci sono stati segni di un ulteriore aumento nella durata massima della vita. Ciò significa che esiste un “limite naturale” alla longevità. L’uomo è geneticamente programmato per riprodurre la specie. La “strategia della storia della vita”, che è il prodotto di quasi 4 miliardi di anni di evoluzione della specie, è quella di assicurare la trasformazione dell’ovulo fecondato in un adulto capace di riprodursi. Dopo una certa età i geni non si interessano più di noi, ciò che conta è il loro passaggio alla progenie. Tutto il resto è un by product, compreso l’invecchiamento biologico che risente di interventi non geneticamente programmati.
Come si può invecchiare bene?
Gli studi di popolazione indicano che il gene incide per il 30 per cento sulla qualità della vita, il resto dipende dalle nostre abitudini di vita e dall’ambiente. Da ciò la necessità della prevenzione primaria, della medicina proattiva, di iniziativa e non emergenziale. Vecchi sbagliati si diventa da bambini.
Chi è l’anziano inedito?
Mi riferisco all’anziano che considera la vecchiaia come una parte del processo vitale e non semplicemente come una perdita. L’anziano scopre che la sua vita ha un senso se la riconosce, l’accetta e la difende. Gran parte dell’handicap dell’anziano non ha niente a che fare con la sua condizione fisica, nasce dalla «cultura dello scarto», da una ideologia prevalente nella società che privilegia il giovanilismo.
Norberto Bobbio dice che chi loda la vecchiaia non l’ha vista in faccia.
Secondo Albert Camus dopo una certa età ognuno è responsabile della sua faccia. La popolazione anziana non è omogenea: c’è la vecchiaia fisiologica, che comporta alcuni deficit funzionali e che rappresenta una sfida adattativa, e c’è la vecchiaia patologica. “La vecchiaia”, ha detto Carlo Fruttero, “è un aggiustamento continuo con cacciavite e chiave inglese”. Ma un conto è la smemoratezza benigna di chi non ricorda il nome di una persona o di una cosa, un altro è la demenza con i crateri spenti della memoria.
Nel libro si parla di medicina rigenerativa, di editing genetico, di medicina di precisione.
La medicina rigenerativa ha a che fare con le cellule staminali pluripotenti capaci di differenziarsi in cellule che possono sostituire i tessuti lesi dell’organismo, con l’editing genetico è possibile cambiare le singole lettere del codice genetico come se si trattasse di correggere le bozze di un libro, la medicina di precisione si avvale del sequenziamento del Dna e consente di identificare la causa molecolare della malattia.
Ne trarrà vantaggio anche l’anziano?
Non credo. La malattia cronica di cui soffre l’anziano è una malattia complessa che interessa non il paziente ma la persona. L’anziano ha bisogno di un medico capace di interpretare il suo vissuto personale che è il principale determinante del suo stato di salute. In Italia un uomo su quattro e una donna su sei di età superiore ai settantacinque anni, pur essendo portatori di una o più malattie croniche, dichiarano uno stato di salute buono o molto buono. L’anziano non ha bisogno della medicina di precisione ma della medicina narrativa che non è l’aneddotica ma l’arte del comprendere. L’articolo 20 del Codice di deontologia medica recita che il tempo della comunicazione fra medico e paziente è tempo di cura.
Il sistema sanitario recepisce il bisogno dell’anziano?
Sta lentamente muovendosi nella giusta direzione. La medicina è ancora tarata sulla malattia acuta, è ospedalocentrica. Gli anziani, portatori di malattie croniche, come le malattie cardiovascolari, le malattie respiratorie, il diabete, i disturbi cognitivi, il tumore, hanno bisogno di una cura continuativa, sul territorio, integrata, cioè sociosanitaria, con un unico punto di accesso alla rete dei servizi.
L’anziano è un peso per la società?
Lo stato sociale spende molto per l’anziano. Ci sono 22 milioni di occupati e 16 milioni di pensionati con un rapporto di dieci a sette. Il 70 per cento della spesa sanitaria viene destinata alla cura delle malattie croniche. Non è vero, tuttavia, che gli anziani siano solo i destinatari passivi di risorse. Svolgono un ruolo importante nel welfare di comunità, si occupano dei nipoti e dei non autosufficienti, aiutano anche con contributi economici la famiglia dei figli. Bisogna promuovere l’invecchiamento attivo, un processo che, secondo l’Oms, mira a ottimizzare le opportunità di salute, di partecipazione e di sicurezza degli anziani.
Nel libro si parla anche di strutture residenziali e di residenze sanitarie assistenziali, le Rsa, di cui si interessa il programma Bollini RosaArgento di Onda.
Secondo la Relazione sullo stato sanitario del paese 2012-2013 del Ministero della salute, in Italia ci sono circa 3 mila Rsa con 200 mila posti e 300 mila utenti. Quattro utenti su cinque sono donne, in prevalenza di età superiore agli 85 anni. Le Rsa sono una vasta prateria dove ognuno si muove come vuole, manca un indice di attività medio, come il DRG ospedaliero, che serva a valutare la qualità del servizio. Non esistono poi meccanismi di controllo. L’obbiettivo dei Bollini RosaArgento è quello di fornire un supporto alle famiglie che, non potendo garantire ai propri cari una assistenza adeguata in casa, devono scegliere una Rsa. I Centri dei Servizi Medicare-Medicaid degli Stati Uniti, che sono programmi federali per l’assistenza agli anziani e alle persone con basso reddito, hanno preso una iniziativa analoga: nell’ottobre 2015 hanno pubblicato una guida per gli utenti dei Centri, il Minimum Data Set 3.0 (MDS 3.0), che contiene misure di qualità. Fra gli indicatori di scarsa affidabilità della struttura figurano ai primi tre posti il numero delle cadute, la mancanza della terapia del dolore, la comparsa delle ulcere da pressione. In Italia, secondo il 49° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis, una persona su cinque vorrebbe disporre di graduatorie sui servizi sociosanitari, basate sulla qualità dei servizi e sul giudizio degli utenti.